Il nomadismo digitale ha una storia relativamente recente. L’espressione è stata utilizzata per la prima volta nel 1997 in uno studio accademico condotto dallo scienziato informatico Tsugio Makimoto e dallo scrittore David Manners. Gli autori vi prevedevano la nascita di comunità di remote worker/viaggiatori e la sempre maggiore diffusione del fenomeno, grazie alla connessione internet e allo sviluppo delle nuove tecnologie digitali, sempre più portatili e meno ingombranti e sempre più accessibili al consumo di massa.
Il pioniere del nomadismo digitale precede lo studio di Makimoto e Manners di oltre dieci anni. Si tratta di Steven K. Roberts, uno scrittore e giornalista freelance che nel 1983 abbandonò il posto fisso per girare l’America fino al ‘91, pedalando una speciale bicicletta modificata e dotata di un rimorchio con pannelli solari e computer, a bordo del quale gli era possibile lavorare.
Il nomadismo digitale non è solo una modalità lavorativa ma un vero e proprio stile di vita itinerante e flessibile reso possibile dall’evoluzione delle tecnologie – e dei lavori – digitali. Svolgendo l’attività lavorativa attraverso dispositivi portatili come notebook e smartphone e raggiungendo clienti e collaboratori attraverso la connessione internet – con mail, calls e cartelle di lavoro condivise – è possibile lavorare e realizzare il proprio reddito da qualunque parte del mondo, viaggiando, senza una sede fissa né tantomeno un ufficio tradizionale.
Oltre 35.000.000 di persone nel mondo si autodefiniscono nomadi digitali e in base ai trend attuali, secondo Peter Levels, fondatore di Nomad list, nel 2035 saranno circa un miliardo le persone che vivranno e lavoreranno così. La scelta del lavoro da remoto è per loro conseguente e subordinata alla scelta del tipo di vita che vogliono intraprendere: flessibilità lavorativa e oraria e soprattutto la possibilità di adattare il lavoro al resto del loro tempo e non il contrario, la libertà di viaggiare e scegliere dove vivere.
I nomadi digitali sono quasi in egual numero uomini e donne e l’età media è di 40 anni e nella maggior parte dei casi è dai 30 anni in su che hanno cominciato questo stile di vita. Ben oltre la metà di loro è di origine caucasica e oltre la metà proviene da Stati Uniti, Portogallo, Germania e Brasile. Il grado di istruzione dei nomadi digitali è vario ed equamente suddiviso – vi sono moltissimi autodidatti nella propria professione, persone senza un’istruzione superiore e molte altre con un alto grado di istruzione – e il loro stipendio medio annuale si aggira sui 22,500 $. L’arco di tempo in cui restano stanziali in un dato posto si aggira sui 6 mesi ma può variare dai 3 ai 9 circa. Gli ambienti di lavoro preferiti sono oltre all’abitazione, i centri di coworking, le caffetterie, le biblioteche pubbliche e gli spazi all’aperto.
Mete preferite dai nomadi digitali sono, per quanto riguarda l’Europa, Spagna, Portogallo e Italia, mentre negli Stati Uniti, New York e Texas. Molto diffuso però è cercare opzioni che permettano un più vantaggioso margine nel rapporto tra guadagni e costo/qualità della vita e, in questi casi, sono favoriti il Messico, il Sud America – in particolare l’Argentina – e il Sud-est asiatico – soprattutto Indonesia e Malesia –. Alcuni paesi, inoltre, offrono visti o programmi specifici che agevolano i nomadi digitali (e li attirano). Tra i paesi europei segnalo Estonia, Croazia, Georgia, Portogallo, Malta, Grecia, Spagna e Islanda; al di fuori dell’Europa abbiamo Dubai, Argentina, Barbados, Mauritius, Capo Verde, Seychelles, Bermuda, Isole Cayman e altri.
I nomadi digitali possono essere sia dipendenti di un’azienda basata in un altro paese, sia imprenditori con collaboratori dislocati ovunque, sia freelance in grado di promuoversi e raggiungere clienti anche lontani attraverso la connessione a Internet.
I lavori ideali per il nomadismo possono spaziare molto da quelli effettivamente svolti attraverso le tecnologie digitali a quelli che necessitano invece di un contatto dal vivo con i ‘clienti’ e che vengono quindi declinati in varie forme in base al paese ospitante – ad esempio l’insegnamento del surf, dello yoga o di altri sport o l’insegnamento delle lingue (questo ultimo realizzabile anche da remoto) –. Qualora, invece, i nomadi optino per professioni effettivamente ‘digitali’ possono lavorare come programmatori, web e app developer/designer, grafici, animatori, video editor, social media manager, blogger, coach, influencer, content creator, assistenti digitali, traduttori, scrittori e copywriter. Poco più del 10% di loro lavora in campi non comunemente associati al nomadismo digitale, come, ad esempio, ingegneria, legge e medicina.
Da una ricerca condotta da FlexJobs sono emerse oltre 30 aziende, per lo più internazionali, che propongono una gran quantità di offerte per posizioni in smart working e che consentono il lavoro smart non solo pochi giorni a settimana ma in modo continuativo, permettendo così di vivere effettivamente all’estero. Tra queste segnalo Webing fondata dall’italiano Andrea d’Ottavio, Protocol Labs, Wikimedia Foundation, Polygon Technology, Airbnb.
Numerose piattaforme internazionali funzionano da aggregatori di offerte lavorative da remoto e, alcune di esse, funzionano da veri e propri intermediari che si occupano della transazione economica e tutelano professionisti e datori di lavoro. Semplici aggregatori di offerte sono, ad esempio, We work remotely, Remote.co, Flex job, Working nomads, Jobspresso. Intermediari economici tra la domanda e l’offerta sono, invece, piattaforme come Freelancer o Fiverr; queste ultime, però, propongono spesso lavori estremamente sotto-pagati, dando vita a veri e propri bandi che prevedono la competizione non solo nelle prestazioni ma anche e soprattutto nel budget proposto da parte professionisti provenienti da paesi diversi e con un considerevole gap economico tra loro.
Ci sono alcuni aspetti legali e fiscali dei quali tenere conto prima di intraprendere una vita da nomade digitale. Legislazione e tassazione variano, infatti, da paese a paese, dipendono dal paese di residenza dello smart worker oltre che dal paese ospite nel quale svolge il lavoro, la situazione può, inoltre, variare anche a seconda della durata del soggiorno, della tipologia di permesso di soggiorno e del tipo di attività svolta.
La residenza fiscale determina dove un individuo sarà soggetto all’imposizione fiscale. Un’opportunità vantaggiosa per i nomadi digitali potrebbe essere richiedere di stabilire la propria residenza fiscale in un paese con una tassazione più contenuta rispetto a quella italiana. Un italiano con la residenza fiscale all’estero, è soggetto alle leggi fiscali del paese nel quale ha stabilito la sua residenza fiscale ma potrebbero esserci anche specifici accordi bilaterali tra l’Italia e il paese della residenza fiscale per evitare così la doppia imposizione. Per perdere la residenza fiscale italiana e poterla richiedere all’estero è necessario essere iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero), stabilire il proprio domicilio civilistico (ovvero la sede principale dei propri affari e interessi, i quali possono comprendere quelli di natura lavorativa e fiscale come quelli familiari e sociali) e la propria residenza civilistica (ovvero luogo dove si dimora abitualmente) nel paese estero, è infine necessario che questi requisiti siano rispettati per “la maggior parte del periodo d’imposta” ovvero un minimo di 183 giorni – o 184 negli anni bisestili –.
Per soggiornare all’estero per periodi prolungati e soprattutto per svolgervi attività lavorativa potrebbe essere necessario richiedere Visas e permessi di lavoro e registrare la propria attività lavorativa presso le autorità fiscali locali. Altri fattori da tenere in conto sono le leggi su privacy e protezioni dati, nonché la libertà di accesso a Internet, aspetti che potrebbero variare notevolmente da paese a paese e, infine, la tassazione dei guadagni generati online (attraverso le attività freelance o la vendita sugli e-commerce) la quale gode in alcuni paesi di interessanti agevolazioni e sgravi rispetto all’Italia.
Pandemia e lockdown se da una parte, a breve termine, potrebbero aver rappresentato dei freni al successo del nomadismo digitale a causa delle restrizioni sugli spostamenti, potrebbero al contrario, a lungo termine, rappresentare degli acceleratori grazie alla diffusione dello smart working e della sempre più estesa fruizione di servizi digitali (dagli e-commerce alle piattaforme di e-learning). Occorre segnalare, tuttavia, la parziale marcia indietro di alcune grandi aziende come Google, Apple e Microsoft le quali stanno richiamando nei loro uffici i propri dipendenti, i quali potranno lavorare totalmente da remoto sono con un motivo valido e comprovato e, diversamente, solo pochi giorni a settimana. Per quanto riguarda l’Europa sembrerebbe esserci una lieve ma costante crescita dello smart working anche nella fase post-pandemica nella maggior parte dei paesi tranne che in Italia. Nel nostro paese, infatti, i lavoratori in smart working sono diminuiti notevolmente e solo un terzo dei potenziali smart worker hanno attualmente accesso a una media di un giorno di lavoro da remoto a settimana. Gran parte dei lavoratori da remoto in Italia sono donne e la diffusione di questa modalità lavorativa è maggiore al Nord-Ovest e nel Centro. Anche in Italia sono nate, cionondimeno, due piattaforme specializzate nell’aggregare offerte di lavoro da remoto: Italia remote work e Lavoro remoto.
Le difficoltà riportate da molti nomadi digitali sono: trovare i clienti nel caso lavorino come freelance, la gestione della fiscalità, l’accesso alle cure mediche ma anche – e soprattutto – la solitudine, la nostalgia della famiglia e la stanchezza per i continui spostamenti, motivi, questi ultimi, che li inducono in alcuni casi a tornare a casa dopo qualche anno. I problemi pratici e i momenti di abbattimento, tuttavia, non cancellano gli aspetti positivi di esperienze di questo tipo, siano esse a breve o a lungo termine, che promettono di mettersi alla prova, allargare gli orizzonti e arricchire la propria vita conoscendo paesi, popoli e modi di vivere spesso distanti.
Per ulteriori, più dettagliate e sempre aggiornate informazioni sul tema, consiglio di consultare il validissimo sito nomadidigitali.it.
di Maria Teresa Di Candia